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“ALLEGORIA DI UNA VITA”

by AnnaMaria Tettamanzi




Aspetto. Nella posizione in cui sono posso solo aspettare. Ma anche guardarmi intorno. La superficie bianca del tavolo, due sedie bianche. Un cavalletto di lato. Vicino a me tanti pennelli, tenuti in piedi un po’ storti in una caraffa di latta, una tavolozza, panetti colorati in una scatola di legno, un vaso di vetro con dell’acqua.
Ecco, ci siamo: due mani mi prendono e mi mettono sul cavalletto, serrano i morsetti per non farmi sfuggire. Io sono lì, semplice foglio di carta bianca nell'attesa di essere dipinto.
Tracciano segni leggeri sopra di me. Sto iniziando a vivere. Non capisco cosa facciano ma linea dopo linea si forma qualcosa. Un rosa tenue mi copre qua e là. Ho una sensazione di fresco. Dapprima è solo un velo delicato, sfumato appena, di cielo all’alba. Uno strato morbido e trasparente lascia intravedere il bianco al di sotto. Mi lasciano lì, ad assorbirlo. Ho di me una visione dolce, infinita. Il tempo mi appare interminabile.
Invece arriva il momento in cui qualcosa cambia: qualche goccia di giallo e di arancione trasforma il rosa, lo rende più compatto, più presente. Il nuovo colore prende il suo spazio, si fissa in me.
Adesso il giallo puro occupa alcune zone, ha una sua consistenza, anche se sottile, quasi volesse rendermi partecipe del suo esistere, con la luminosità di un pensiero che indaga la realtà.
Sperimento il rosso, in tocchi rapidi, come fiamme sottili. Qualcosa si anima sulla mia superficie, poi va più a fondo. Emerge all'improvviso una vitalità che prima non conoscevo. Il rosso mi piace: dà una nota squillante al mio aspetto. Ho fretta di vedere cosa succederà ma devo pazientare.
Un pennello viene preso, immerso nell’acqua, levato fuori e, tolta l’acqua in eccesso, sfiora un altro panetto di colore: è il verde. Viene messo sulla tavolozza, diluito e variato con minime aggiunte di altri colori. Eccolo su di me in tante sfumature: qui è ombroso, là più chiaro e solare, altrove quasi cristallino, in alcuni punti spento, in altri tenero.
Sto prendendo una mia identità: non sono più un foglio bianco ma “quel” dipinto. Inizio a distinguermi in un' unità pur con una ricchezza di colori. Vengo fatto esistere. Ne sono consapevole. L’unico rammarico: vorrei essere io il pittore. Mi consolo se penso che su un foglio diverso anche il dipinto sarebbe stato differente: questione di consistenza della carta, di assorbimento, di porosità, di levigatezza o ruvidezza…e quant’altro. Qualche macchia azzurra mi dà serenità.
Il pittore interrompe il suo lavoro. Io sono lì, coi miei colori, lasciato in sospeso, non ancora compiuto.
Arriva il tempo delle ombre, dell’ispessimento di alcune tinte per farne risaltare meglio altre. Il pittore crea una tonalità strana, un grigio scuro, lo ottiene mescolando altri colori.
Il dipinto acquista profondità. Mi sembra di essere in rilievo, con spigolosità, arrotondamenti, avvallamenti, incisioni…. Una dimensione nuova.
Tanti colori si sono trasformati, il rosa iniziale è ormai solo un ricordo. Qua e là c’è ancora qualche zona di colore puro, però il tempo ha mutato il mio aspetto. Il dipinto si è via via costruito, sempre alla ricerca di qualcosa: di un accostamento cromatico migliore, dell’armonia dell’insieme, della bellezza. Arriva un colore nuovo, non lo conoscevo. Ricorda un po’ la sensazione vaga del primo rosa, qualcosa di ineffabile, ma possiede anche la serietà e l’importanza del blu. Difficile spiegare la sua suggestione, quando quel violetto leggero si allarga, mi penetra, va oltre. Sono turbato. Il colore è ancora umido quando il pittore aggiunge un altro velo di blu: si forma l’indaco, misterioso, solenne. Il dipinto è quasi completato, lo capisco dai tocchi sparsi e minuti. Non ci sono più aree da colorare, solo rifiniture, gocce d’acqua più fini della nebbia, qualche linea tracciata con un pennello sottile.
Mi sono sempre chiesto cosa stavo diventando e mi sono sentito alba in un giorno d’aprile, pesca vellutata nello splendore dell’estate, cuore e fiamma, foglia e prato, lago e cielo. Però solo ora mi vedo interamente, negli occhi del pittore. Sono un vecchio, dal viso scavato, seduto in un terrazzo, su una poltroncina di vimini, le mani dalle dita lunghe morbidamente appoggiate sui braccioli. Indosso una camicia variopinta. Sulla balaustra ci sono dei gerani rossi ma io guardo il paesaggio lontano e il cielo della sera. Sorrido. Chiarori e ombre sono ben definiti.
I miei capelli sono candidi. Delle chiazze bianche alleggeriscono sapientemente il dipinto, dando luce.
Ma il colore bianco non è stato aggiunto: è quello che io, in origine, ero.

(di Anna Maria Tettamanzi - 2010)